Diversi, ma insieme

Diversi, ma insieme

Il rientro a scuola non è solo dei bambini: piccola guida per affrontare i cambiamenti (insieme)

C’è una settimana dell’anno in cui tutto cambia senza che nessuno lo decida davvero. I calendari riprendono a riempirsi, le sveglie tornano a suonare, le giornate si contraggono intorno a orari, zaini, incastri. È la settimana del rientro a scuola. Ma la verità è che a rientrare — ogni volta — non sono solo i bambini.

Il rientro è un passaggio: simbolico, emotivo, pratico. Per i più piccoli segna l’ingresso in un tempo regolato, fuori dalle abitudini estive; per gli adulti è una nuova danza tra logistica e responsabilità. Eppure, dietro la frenesia dei preparativi, c’è qualcosa che spesso non viene detto: cambiare, anche quando sappiamo che è giusto o necessario, è sempre una piccola fatica.

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Il cambiamento non è mai neutro

Spesso ci si concentra su come aiutare il bambino ad affrontare il ritorno in classe, come se l’adulto fosse un perno fermo, saldo. Ma non è così. Ogni cambiamento che riguarda i figli, attraversa inevitabilmente anche i genitori. Cambiano le routine, cambia la gestione del tempo, ma soprattutto cambia la posizione interna: quella del lasciare andare, del ricominciare, del rimettersi in gioco.

Il problema non è solo “tornare” a scuola o al lavoro. Il problema è lasciare qualcosa che ci aveva fatto bene — anche se era solo la libertà di non correre, o la gioia di risvegli lenti. Cambiare implica una perdita, anche minima, e ogni perdita richiede un'elaborazione.

Ogni cambiamento è come morire un po’, ma è anche il solo modo per nascere di nuovo”, scrive Irvin D. Yalom, psichiatra e autore. Ed è in questo doppio movimento — perdita e rinascita — che si gioca il rientro, per grandi e piccoli.

Omini traslucidi per lavagna luminosa

 

Condividere il cambiamento: non spiegare, ma attraversare insieme

I bambini non hanno bisogno che i grandi sappiano sempre cosa dire. Hanno bisogno che qualcuno sia disposto a stare con loro dentro l’incertezza. Condividere con i figli le emozioni del cambiamento — senza appesantirli, ma neanche nascondersi dietro un sorriso forzato — è un gesto di vicinanza autentica.

Può bastare dire: “Anche per me ricominciare non è facile”, oppure “Anche io sento che le cose stanno cambiando”. Non per scaricare, ma per creare un ponte. Perché cambiare è inevitabile, ma farlo insieme può renderlo meno spaventoso e molto più umano.

Le carte delle emozioni


Oggetti che aiutano a "traghettare"

In alcuni casi, un oggetto può essere un ponte: qualcosa che accompagna da un tempo a un altro, da uno spazio conosciuto a uno nuovo. Nei bambini si chiamano “oggetti transizionali”, e possono essere piccoli peluche, coperte, un portachiavi nello zaino con un dettaglio affettivo. Ma anche per gli adulti esistono strumenti di conforto: un'agenda nuova, un oggetto da scrivania che racconta una storia, un rituale semplice come il tè del pomeriggio o la candela accesa mentre si lavora.

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Non è infantilismo: è una forma adulta di cura di sé. Inserire piccoli appigli concreti nel cambiamento, oggetti che ci parlano in modo personale, aiuta a rendere la transizione meno brusca, più sostenibile. Non si tratta di trovare scorciatoie, ma di creare continuità nel cambiamento.

 

Rientrare non significa tornare uguali

Spesso si dice: "Si ricomincia", "Si torna alla normalità". Ma nessuno torna mai davvero allo stesso punto. Ogni estate cambia qualcosa nei bambini: il modo in cui parlano, il modo in cui guardano il mondo, magari anche il modo in cui ci guardano. E cambia anche l’adulto, se si dà il permesso di osservare.

Allora, forse, la domanda giusta non è: come faccio a rendere il rientro il meno faticoso possibile?
Ma piuttosto: che cosa di questo cambiamento voglio davvero portare con me?
E ancora: cosa posso lasciare andare, e cosa invece posso scegliere di conservare, anche dentro i ritmi serrati dell’autunno?

Il gioiello dentro di me

Un tempo nuovo, non solo più pieno

In fondo, l’obiettivo non è “sopravvivere” al rientro, ma abitarlo. Riconoscerlo come un tempo pieno di possibilità, anche quando è stancante. Dare un nome alla fatica e non farne un nemico. Offrire ai figli non tanto risposte pronte, ma una presenza stabile che sappia stare nella transizione.

E se qualche oggetto può aiutarci in questo — a scuola, in casa, nello zaino o sulla scrivania — allora vale la pena sceglierlo con cura. Non come soluzione magica, ma come segno tangibile di attenzione. Un modo per dire: “Sto cambiando, ma non sono solo”.

In 4 tempi

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